Sunday, 3 April 2011

Miss Himalaya

Ci sono giornalisti che raccontano notizie, ed altri che raccontano leggende. Una di loro si chiama Elisabeth Hawley, lei è la reporter per eccellenza dell' Himalaya. Arrivò in Nepal nel 1960 e non se ne andò mai più, ora ha 85 anni, vive la da mezzo secolo ed è il database dell'alpinismo himalayano, la memoria storica di tutte le imprese che dagli anni sessanta ad oggi hanno percorso una di quelle strade speciali da cui vedere il limite nero del mondo.
Miss Himalaya, come è stata soppranominata, vive a Katmandu, circondata da libri sugli scaffali, una scrivania coperta di foto, ritagli di giornale e fogli di appunti scritti fitti. Da qui vengono rese note le imprese, i record, i successi, e anche le tragedie che hanno luogo sulle vette dell' Himalaya. Il procedimento pare essere sempre lo stesso, come testimoniano tutti gli alpinisti, che appena arrivano in albergo vengono accolti da una telefonata in cui Miss Hawley chiede di essere ricevuta per raccogliere informazioni sulla spedizione. Così accade anche al ritorno, a missione compiuta, dove gli alpinisti in questione devono raccontare come sono andate le cose. Poi, parte la verifica scrupolosa dei fatti.
Tutto questo senza aver mai scalato una montagna.
La cosa più alta che si è arrischiata a scalare è la piramide di Giza, facendo pure fatica, dice.
A lavorare in questa particolare parte del mondo iniziò nel 1969 quando in Nepal si tennero le elezioni del paese. Divenne corrispondente per Time e Reuters. A cominciare in quel periodo non era solo la democrazia dopo anni di isolamento, ma anche l'era dell'alpinismo himalayano. Di ogni alpinista conosciuto, lei ricorda le imprese, di ognuno sa raccontare un aneddoto divertente.
Di tutte le vie che l'Himalaya ha ancora da offrire agli indomiti alpinisti e spettatori, quella più grande, la sfida, sarà il progresso. Un progresso equo e uguale che possa essere osservato nelle strade del centro di Katmandu e in quelle delle campagne dove ora si vive come nel XIX secolo. Lo studio e la scuola resta la Via e per questo la Hawley ha in mano la gestione dell'Himalayan Trust che offre borse di studio a studenti che vogliono andare a Katmandu a studiare.

There are journalist that tell news and others that tell legends. One of them is Elisabeth Hawley, a legend herself, the reporter par excellence of the Himalaya.
She arrived in Nepal in the 60es and she never went back to the States; now she is 85, she is been living there for half century and she is the dabase of the himalayan alpinism, the memory of all those ventures that started there and that from 1960 since today walked in those special streets from where you can see the limit of the world.
Miss Himalaya, as she is called, lives in Katmandu surronded by books on the shelves, picture, press cutting and tight write papers. From here the world come to now all the adventures, successes, records, tragedies and people that passed over there and on the peak of the Himalaya. Everything happens always in the same way: when somebody arrives in the capital she calls, she asks for a meeting to be informed about the expedition, the person, everything. And then again at the end, when the alpinist is back, she calls again, then she checks all these informations, very deeply.
She is doing all this since fifty years, and she has never clibed a montain in her life. She laughts if you ask her about this argument: the biggest thing she has ever climbed is the Giza's pyramid, and it was (really) hard.
She started to work in this particular part of the world in 1969 when Nepal had its election for the government, she became reporter for Reuters and Time. To start in that period was not just democracy after years of isolation, but also alpinism on the Himalaya; of every alpinist she remembers the enterprise and also some funny stories.
Of all the Himalayan ways, already discovered or not, she said the best one should be progress, progress for people, for who lives in the city streets and from who lives in the countryside, where everybody lives as in the XIX century.
School and learning is the real Way, and for this reason she is the administrator of the Himalyan Trust, which is distributing money for students which want to go in Katnmandu to study.


Tuesday, 29 March 2011

Paolo Pellegrin

Fotografo. Paolo Pellegrin è italiano, quello che gli interessa sono le emozioni che riesce a far intravedere dalle sue fotografie, tenendo a distanza i fatti, un testimone umanista, un giornalista.
Quello che Pellegrin fa prima di tutto è essere un testimone, un testimone del fatto che il mondo va male, stanno male quelli che lo popolano, che subiscono invece di influenzarlo; il problema stava nello spigare questo, descriverlo, e soprattutto nel darsi una risposta al perchè farlo, perchè aggiungere ai dolori del mondo la visione di queste pene.
La fotografia è sempre stata in primo piano in questo, documentando, imprimendo nella pellicola e nella memoria delle immagini e delle storie e delle persone. Ebbene si Pellegrin è un altro elemento delle strade delle memoria, di quelle strade che corrono all'indietro e che a volte è difficile tenere. Lui vuole riunire gli elementi di una memoria che tra la fine del novecento e l'inizio del nuovo secolo è attraversata da dubbi sul suo futuro. A stretto contatto con l'attualità, torna in luoghi già esplorati come Gaza o Haiti, diventa un concerned photographer.
Lui lo sa, che quando svolge il suo lavoro è esposto alle sofferenze degli altri, che serve da testimone, e che percepisce che il suo ruolo è di creare documenti per la nostra memoria collettiva. Parte di questo ha a che fare con la responsabilità, con questo concetto.
"Forse soltanto nel momento della loro sofferenza queste persone verranno notate, e notarle elimina ogni possibilità di dire un giorno che non sapevamo. (...) La morte dell'altro è una perdita che appartiene a tutti."

A photographer. Paolo Pellegrin is italian, what interest him are emotions that you can distinguish from his pictures, bringing facts outside, external, a journalist.
First of all, what Pellegrin is doing is being a witness, a witness who knows that the world is doing bad, that people there is doing bad, people who instead of affect the world, is suffering. The problem was in how tell it, describe it and in particular have an answer about why do this, why put more and more pain to the already big sorrow of the world?
Photography has always been to the fore in doing this, documenting, printing on the film and in our memories immages, stories and people. Well, yes Pellegrin is another element of those street of memory, those street which run backward. He is trying to keep alive and together some elements of a memory that between the end of '900 and the beginning of the new century has big doubts about its future. In this case you must be in close quarters with actuality, he goes back in places where he's already been, he became a concerned photographer.
He knows that when he's doing his job, he's exposed to the others' sufference, that they need him as a witness. His role is to create documents for our collective memory, is about responsabiliy.
"Is maybe only in this moments, when this people is suffering, that they will be noticed, and if we notice them, well, this eliminate every possibility to say one day that we didn't know.(...) Other's death is a lose that belongs to everybody".










Sunday, 20 March 2011

L.s. Lowry

L.S. Lowry, è un nome d'arte, ma anche l'abreviazione del nome Lawrence Stephen Lowry: pittore britannico, molti dei suoi disegni e dipinti ritraggono Salford e le aree circostanti, tra cui Pendlebury, dove visse e lavorò per più di quaranta anni. Appena si guarda un suo quadro si riesce a capire cosa mi porta a parlare di lui. In ognuno di essi si può osservare la gente e la strada, tutto in un dipinto. Lui stava li e osservava come queste persone camminavano, giocavano, si incontravano, si amavano, pensavano, semplicemente attraversavano la strada. Tutte queste personcine minute e stilizzate sono diventate il suo tratto distintivo che lo ha reso famoso per i ritratti di scene di vita nei distretti industriali dell'Inghilterra settentrionale durante i primi anni del XX secolo.
Di Laurence tutto iniziò al numero 8 di Barrett Street, e iniziò con difficcoltà perchè la madre avrebbe preferito avere una bambina, dimostrandosi anche invidiosa della sorella che di bambine ne aveva avute tre. La sua famiglia non dimostrò grande attenzione o felicità per il dono di Laurie per il disegno. Così finito gli studi prese alcune lezioni di disegno a mano libera. Dopo la morte della madre disegnava scene di vita da spiaggia, dove trascorreva le sue vacanze e quando non aveva qualcosa su cui dipingere, allora utilizzava qualsiasi cosa trovasse.
Questo signore dalle grandi contraddizioni, era un uomo timido ma nonostante tutto fece continue amicizie durante tutta la sua vita. Alla fine ci lasciò una grande quantità di disegni e pitture di piccoli omini, che qualcuno vide come piccoli pupazzi, e glielo fece notare. Ma era troppo ragionare su questo perchè come amava ripetere Lowry "non serve cervello per dipingere, solo sentimenti".

L.S. Lowry, this is an art name but also the abbreviation for Lawrence Stephen Lowry: british painter. Most of his pictures describe Salford in the Uk and some areas nearby, also Pendlebury where he worked for more than forty years.
When you look at one of his paints, you can certainly understand why i'm writing about him. In all of them there streets and people, people and streets; everything and everybody in one sight. He used to stay there observing how all that people was talking and playing, thinking and loving or simply crossing the way. All this thiny stylized people, became his peculiarity and made him famous across the world. Everybody started to know who was LS Lowry and his description of common life in the industrial disctricts in north England in the XX century.
With Lawrence everything started in 8, Barrett street, and it has been an hard start because his mother preferred to have a girl, and instead arrived Laurie. She was envious of her sister who had three girls. His family wasn't really interested or happy for the boy's gift for art, and he tryied to menage himself for some handdrawing lessons. After his mother death he started to paint some beach scenes that he could see during his holidays, when he didn't have something where to draw on, he just improvised on everything he could find around.
In the end this charming man, full of contraddicitions about his own personality, mede new friends during all his life. He could leave us lots of pictures and illustrations with on it lots of small little men, that somebody criticized because more similar to little puppets, than real men. But this was about brain and rationality, too much for him, he loved to say that "you don't use brain to paint, just feelings".


"Most of my land and townscape is composite. Made up; part real and part imaginary [...] bits and pieces of my home locality. I don't even know I'm putting them in. They just crop up on their own, like things do in dreams."












Tuesday, 15 March 2011

Dance for All

Siamo a Cape Town, Sud Africa, Philip Boyd, sudafricano bianco, ballerino dei grandi palcoscenici del mondo è tornato nella sua terra. Qui ha deciso di voler fare qualcosa di importante per lei: portarci la danza. Boyd ama stare sul palcoscenico ma voleva anche un posto migliore per vivere, e poter offrire una possibilità di futuro ai figli delle township, un alternativa alla strada.
Così nasce la scuola di danza Dance for All, fondata con la moglie (morta te anni fa, étoile del Cape Town city ballet). Corsi di danza classica, moderna e tradizionale, completamente gratuiti con lezioni giornaliere, trasporto e abbigliamento; grazie a sovvenzioni e aiuti privati, volontari di ogni nazionalità e collaborazioni importanti come il Royal Ballet di Londra, Stanford University, Cuban National Ballet...
Tutto prende forma all'interno di magazzini, scantinati e piccole palestre, si, dove capita.
Il futuro di questi ragazzi bisogna salvaguardare, perchè sedici anni dopo l'abolizione del regime segregazionista, il Sudafrica rimane segnato da contraddizioni e profonde diseguaglianze, e malgrado la crescita economica il divario tra ricchi e poveri coincide ancora con il colore della pelle. I bambini, che sono in netta minoranza rispetto alle bambine, ancora vengono derisi se si iscrivono alla scuola lasciando la vita di strada. Loro non sembrano avere rimpianti o ripensamenti, da quando hanno iniziato a ballare sono felici.
Ora Dance for All esiste da vent'anni ed è riuscito a coinvolgere più di 1500 studenti, alcuni si sono persi altri, hanno rinunciato tornando alla strada e alla sua quotidiana guerra; ma altri c'è l'hanno fatta e sono ora sulla bacheca della scuola o in compagnie di professionisti.
E così che si può vedere una bambina che appena ha iniziato a fare i suoi primi passi di danza, che già sogna Broadway e il pubblico e la celebrità, per poi prendere il pulmino e tornare la della strada.

We are now in Cape Town, South Africa, Philippe Boyd is a white southafricaner and a dancer, he came back from the great stages of the world. Here, he decided to do something beautiful and important fot her, his country: dance.
Boyd loves his job, loves to stay on the stage, but he also wants to create a better place where it's truly possible to live, he tried to offer an alternative to the street and a better future.
This is how born the dance school Dance for All, he built it with his wife (étoile of the Cape Town City Ballet, she died three years ago). Here it is possible to find dance courses of any kind: classical, modern and traditional; everything is for free with daily lessons, transport and clothes and costumes. This school is working thanks to collaborations with world famous dance schools as Royal Ballet di Londra, Stanford University, Cuban National Ballet; volunteers and dance teachers from the city. Favorites places for lessons are small gyms, basements and old and empty stock rooms, yes, everywhere.
What they are doing here is try to save the future of these guys, because despite sixteen years have passed from the segregationist government, Southafrica is still divided between strong contradictions and deep disparities, and the gap between rich and poor still depends on skin color. Boys are surely less than girls, and sometimes they are mock off for their choice, but they are happy to learn how move their body and dance.
Dance for All is twenty years old, and he menaged more than 1500 students, some of them change their mind and gave up going back to the street and his daily war, but others stayed and are now on the school wall or in professionist dance companies.
It's good to see a little girl who just can do her first steps, who dreams Broadway and celebrity, and a big great public. And then she just catches the bus and she goes back there, on the street.




















Monday, 14 March 2011

Josef Koudelka

Josef Koudelka, fotografo ceco, è parte della storia della fotografia. Iniziò fotografando la sua famiglia, nel 1961 si laureò all'università tecnica di Praga, ma nel 1967 decide di rinunciare la sua carriera di ingegniere per quella nomade di fotografo.
Iniziò a viaggiare e nel 1968 era appena tornato da un servizio sugli zingari della Romania, quando una telefonata lo sveglia e lo fa arrivare in piazza mentre le forze militari del Patto di Varsavia entravano a Praga per soffocare il riformismo ceco.
I negativi di quelle preziose fotografie riescono ad uscire dal paese tramite canali clandestini ed arrivare alla Magnum Photos e poi pubblicate sul Sunday times. Koudelka rimarrà anonimo e le sue foto vengono firmate P.P. (Prague Photographer) per salvare se stesso e la sua famiglia da rappresaglie.
Nonostante ciò, le immagini diventano dei simboli intenrnazionali e premiati con il Robert Capa Gold medal per fotografie scattate con eccezionale coraggio.
Attarerso l'agezia Magnum riesce ad arrivare in Europa e a chiedere asilo politico in Inghilterra. Così negli anni settanta e ottanta, rispondendo al suo carattere nomade si agira per l'Europa, lavorando grazie a premi e riconoscimenti, pubblicando diversi libri di cui il primo dedicato agli zingari (Gypsies) e il secondo al suo esilio (Exiles).
Tre figli, ognuno di loro è nato in un paese diverso, a testimonianza della vita del padre.

Josef Koudelka, a czech photographer, is part of the photography's history. Everything began shooting his family with an old bakelite camera 6x6; in 1961 he took his degree in the Tecnic university of Prague, but in 1967 he already has decided to abandon his career as an engineer for a something more truly nomadic as could be a phographer.
He spent time travelling and in 1968 coming back from a photo session in Romanie about gipsies, he received a telephone call where he has been informed of the revolution.
He was there, in August 1968. He witnessed and recorded the military forces of the Warsaw Pact as they invaded Prague and crushed the Czech reforms. Koudelka's negatives were smuggled out of Prague into the hands of the Magnum agency, and published anonymously in The Sunday Times Magazine under the initials P. P. (Prague Photographer) for fear of reprisal to him and his family.
Despite of this, His pictures of the events became dramatic international symbols. In 1969 the "anonymous Czech photographer" was awarded the Overseas Press Club's Robert Capa Gold Medal for photographs requiring exceptional courage.
With Magnum to recommend him to the British authorities, he applied for a three-month working visa and fled to England in 1970, where he applied for political asylum, in 1971 joined Magnum Photos and stayed for more than a decade. A nomad at heart, he continued to wander around Europe with his camera and little else. Throughout the 1970s and 1980s, Koudelka sustained his work through numerous grants and awards, and continued to exhibit and publish major projects like Gypsies (1975, his first book) and Exiles (1988, his second). Since 1986, he has worked with a panoramic camera and issued a compilation of these photographs in his book Chaos in 1999.
He now resides in France and Prague and is continuing his work documenting the European landscape. He has two daughters and a young son, each from a different country: France, England and Italy, they can testify their father nature.














Wednesday, 9 March 2011

Ossa / Bones

La prima strada che impariamo a conoscere è la nostra vita. E si sa è una strada variabile, a volte larga altre stretta, da provare.
A volte certo non ci rendiamo conto che alcune di queste strade sono state più impervie e tormentate di altre. Clyde Snow ha deciso di andarne a cercare alcune, in Argentina, storie di gente ormai scomparsa, strada senza uscita, i desaparicidos.
Clyde Snow è un antropologo che arrivò in questa meravigliosa terra nel maggio del 1984 su richiesta delle Abuelas Plaza de Mayo, facendo parte dei sette membri dell'American association for the advancement of science. Snow era già famoso per aver identificato i resti del medico nazista josef Mengele in Brasile.
Furono giudici e familiari che richiesero di riesumere i desaparicidos e fù così che iniziò tutto, il suo traduttore visto il lavoro che iniziava a presentarsi chiamò un amico antropologo che sparse la voce a suoi amici universitari che si unirono a lui. Iniziare fù faticoso per loro, passare da libri a cimiteri non dev'essere facile, ma quando capirono veramente cosa succedeva, restarono.
Man mano che questa sorta di progetto avvanzava, iniziarono ad arrivare anche finizaiamenti, nonostante non tutti vedessero di buon occhio quello che questo gruppo di persone faceva. Ma loro nel frattempo si unirono diventarono un Equipo con l'obbiettivo di praticare "l'antropologia forense applicata ai casi di violenza di stato, violazione dei diritti umani e crimini contro l'umanità".
Ma non solo, diventrono amici, passando i loro week end nella terra fresca dei cimiteri ed osservare ossa cercando ricostruire vite da ricordi e documenti. Ognuno si è specializzato in qualcosa, e la parte peggiore dicono e ritrovare le ossa con alcuni resti di vestiti o scarpe.
Qui, in questo luogo, arrivare a riconosce una persona significa ridarle quel piccolo tratto di strada che lo ricollega alla sua storia, alla sua famiglia. Riconsegnare queste ossa a qualcuno che le ha amate, termina la speranza ma anche l'angoscia di non aver visto la fine. Madri baciano la fronte dei figli, sorelle si riconoscono da una scarpa o dai capelli.

The first street we come to know is our life, not always an easy way, it could be wide or narrow, in any case it must be run. Sometimes we can't know, or maybe admit that some of these streets have been harder and more difficult than others. Clyde Snow decided to go and find some of them, in Argentina, lost people's stories, endless streets, the desaparicidos. Snow is an anthropologist who arrived in this beatiful country in may 1984 because of the request of Abuelas Plaza de Mayo; with him seven members of American association for the advancement of science. He was already famous, he have discovered and recognized Josef Mengele, a nazi doctor in Brazil.
Familiars and judges asked for all this to begin, find the desparicidos, try to understand who they were, and finally give them some ease. When Snow and his interpreter saw how much was the work to do, they called a friend, an anthropoligist student, and he called some friend, anthropolists, of course. They started the Equipo. Twenty years old men who passed their week end in cemeteries. You can understand it wasn't easy for them to pass from books and studies to fresh soil and bones, but in the end they stayed, because they undertood what was going on there.
With the advancement of this project, money start to come up, despite not everybody was seeing this in the right prospective, and didn't agree completely. Their aim was to practice "forence anthropolgy in case of state violence, lack in human rights and crimes against humanity".
But wasn't just this, they became friends, they passed, and they still do, their days and holidays trying to identify peoples and lives and stories from their bones, their documents and others stories. Everybody is specialized in a different task, and they said, the worst is find the clothes still there, a shoe, an old pull.
Here, in this place, reognize a person means give him/her back the short piece of street that can link him/her back and again to his/her story, his/her family. Give the bones to someone who loved them, it's a fullstop for hope but also for the agony, the agony of "who knows?", of who can't know the end. Some mothers kissed the forehead of their sons, sisters culd recognize themselves from a shoe, their hairs.
















Thursday, 3 March 2011

Lehel Kovac

Da Budapest un illustratore che cerca di essere ovunque con poco. Lehel Kovac è un artista ungarese che ha varie collaborazioni con riviste e quant'altro.
In cerca di ispirazione si imbatte in google street view, e prendendo a caso delle città le dipinge in ordine alfabetico.

From Budapest i would like to present you an illustrator who tried to be everywhere while being home. Lehel Kovac is an Hungarian artist, he is having lot of collaborations with magazines and so on.
Looking for inspiration he falled in google street view feature, and, taking random cities, he draw them in alphabethical order.










Wednesday, 2 March 2011

The Otolith group

Ogni buona strada si può percorrere avanti ed indietro, può essere guardata e studiata. Ma nessuna strada è tanto personale e unica quanto la nostra memoria, i ricordi. Il tempo purtroppo si sa non può essere rivissuto, ma nella nostra testa può essere riavvolto e guardato come un vecchio nastro. A volte è difficile altre più facile, tutto dipende dalle immagini che ci arrivano, dalle sensazioni che ci trasmettono, da quello che ci fanno provare.
Quindi è questa la nostra strada nel passato, che corre all'indietro, che un pò inganna il tempo, che ci da spazio per pensare, a volte imparare, altre copiare.
The Otolith sono un gruppo fondato a Londra nel 2000 da Anjalika Sagar e Kodwo Eshun, il nome riprende la particella di otolite, una struttura di carbonato di calcio presente nel nostro orecchio interno che determina col sul spostmento il nostro equilibrio.
Fù il cinema ad avvicinare questi due personaggi che insieme iniziarono a lavorare su cortometraggi e testi che nascevano dall'assemblaggio di immagini da riviste e giornali, con un effetto collage a metà fra il diario privato e la storia collettiva. Tutto questo nasce da una riflessione sulla natura della memoria umana, dalla Guerra fredda al capitalismo globalizzato, un universo di immagini, frammentato impossibile da conoscere nella sua realtà. Otolith 1 è il loro primo esperimento, molto riuscito, in cui fondono la microgravità e la narrazione storia/futuro, cercando di mappare le tre temporalità, doveva essere un film di fantascienza ma creato "dal futuro", sperimentarono la microgravità in molti modi possibili, ma alla fine usarono solo alcuni frammenti.
Sono riusciti a creare riflesso che va ben oltre le immagini, trasformando l’arte in un’espressione politica che si serve della memoria come uno strumento di costruzione d’idee per il mondo futuro. Riflettere su una società pietrificata nel presente, dove l’estetica formale e senza contenuti ha fatto sparire la capacità umana del ricordare, del guardare indietro.

It is possible to go straight and forward in every good street, you can see it and study it. But no one street it so unique and personal as our memory, our souvenirs.
We can't push time back, but we could watch it inside our head, like an old videotape. All those images that come up can be good ones or bad ones, could make us feel happy and sad, sometimes could be hard.
So this is our way into the past, which runs back, which can trick a little the time, which gives us space to think, sometimes learn, or copy.
The Otolith are a group born in London in 2000 from Anjalika Sagar and Kodwo Eshun, the name derived from a structure found in the inner ear, the one which establish our balance. Essay films brang these two persons together, they started to work in films and textes that born from magazines' and newspapers' images, and that create a collage in the middle between a private diary and collective history. From a consideration about human memory, from the Cold War to global capitalism: thousands and thousands of images, a whole universe that is quite impossible to know entirely and understand.
Otolith l is their first work, a very good experiment, where they try to put together microgravity and the historical/future narrative, three areas that they wanted to map – three temporalities. they knew they wanted it to be a science fiction film, they knew that they wanted to create this “from the future”. For them it was not just about the experience of experiencing microgravity – it was much more about the metaphor of that experience, the notion of a suspension of political will.
They succeed in create something which goes beyond images, a reflection of themselves, transforming art in a political expression that use memory as an instrument to build ideas for a future world. think about a society which is standing in the present, where is impossible to remember or to look back, thanks to apparence and aesthetics without any content.












Friday, 18 February 2011

Grootens

Joost Grootens è un designer olandese che ha studiato archittura e design alla Rietverd academy ad Amsterdam. Il 1998 è l'anno in cui una casa editrice di Londra gli pubblica il suo primo libro: Metaspaces. Dal 2000 in poi progetta i propri libri basati su archittetura, ambienti urbani e art, specializzandosi negli atlanti disegnando le mappe.
Oltre ai numerosi premi vinti, insegna ad Eindhoven al corso di master tenendo diversi corsi e letture in altre città olandesi.

Joost Grootens is a young dutch designer, he studied architectural design at Gerrit Rietveld Academy in Amsterdam. 1998 marked a turning point during which he designed his first book – Metaspaces, published in London. Since 2000, he has almost exclusively designed books in the fields of architecture, urban space and art, specializing on atlas projects, designing both the maps and the books themselves.
Grootens has won numerous prizes for his designs and he is also teaching at Eindhoven’s Master course, leader of the research programme Information Design at Design Academy. He has also lectured at various schools in the Netherlands.